L'agnello a Pasqua è amato e contestato in egual maniera. Ma che siate sostenitori o accusatori vi siete mai chiesti perché si mangia l'agnello a Pasqua? Poche tradizioni suscitano, nella nostra gastronomia, gli stessi interrogativi e le stesse campagne di boicottaggio come il consumo dell'agnello. Chi, almeno per un attimo, non ha mai provato un sussulto di tenerezza rispetto a questo tenero batuffolo, cucciolo di pecora di età di un mese circa? Eppure l'agnello si consuma da sempre, al pari del âbruttoâ maiale, e la gastronomia italiana ci regala piatti del calibro dell'abbacchio a scottadito della cucina romana, dell'agnello al forno pugliese, oppure di quello con piselli e uova della tradizione napoletana. Senza contare le costolette d'agnello impanate al forno oppure fritte, l'agnello con i carciofi, l'agnello al forno alla sarda (con patate, carciofi e mirto) oppure, dalla Toscana, lo spezzatino d'agnello alla cacciatora e quello in umido.
Perché si mangia l'agnello a Pasqua? La risposta nella religione
Ma perché, a Pasqua, si mangia proprio l'agnello e quali sono i significati che si nascondono dietro questo rituale? L'agnello, per la religione cristiana e ancor prima per quella ebraica, è il simbolo di sacrificio per eccellenza, e come tale più volte compare nell'Antico Testamento. Come nel libro dell'Esodo (Esodo, 12, 1-9), quando a proposito della Pasqua ebraica Dio disse a Mosè e Aronne: âCiascuno si procuri un agnello per famiglia, un agnello per casaâ. E poi ancora: âIn quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Non lo mangerete crudo, né bollito nell'acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscereâ.
Nell'area mediterranea l'agnello è considerato da sempre come il simbolo del candore e della fragilità della vita, soprattutto per le popolazioni seminomadi come quella ebraica. Con lâofferta di un agnello il credente donava a Dio ciò che aveva di più bello, puro e prezioso, come se offrisse sé stesso, in maniera non dissimile dall'ariete che Dio farà trovare ad Abramo dopo la terribile prova del sacrificio di Isacco (Genesi, 22, 1-18).
Nel Nuovo Testamento, Giovanni Battista accoglie così Gesù: âEcco lâAgnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!â, prefigurandone il ruolo sacrificale per la redenzione dell'umanità . Proprio âcome agnello condotto al macelloâ, come profetizzava Isaia (Isaia, 53,7).
Eppure, nei Vangeli e nell'insegnamento di Gesù Cristo non si riscontra alcuna enfasi sui sacrifici rituali, così ricorrenti invece nellâAntico Testamento. LâAgnello, in realtà , era Cristo stesso. Per questo motivo, molti fedeli continuano a ritenere che il consumo dellâagnello a Pasqua non rappresenti una tradizione autenticamente cristiana. Già nel concilio di Laodicea (165), in occasione della discussione sulla Pasqua, si affermò che il sacrificio vero era stato compiuto una volta per tutte con Cristo, e che quello dellâagnello, ancora sostenuto da alcuni ebrei convertiti, aveva ormai perso ogni significato. Una distinzione ribadita anche da Papa Benedetto XVI nel 2007: âIl gesto nostalgico, in qualche modo privo di efficacia, che era lâimmolazione dellâinnocente ed immacolato agnello, ha trovato risposta in Colui che per noi è diventato insieme Agnello e Tempioâ.
L'agnello oggi
Per i cristiani, dunque, il rito sacrificale viene meno, ma non scompaiono né la tradizione né il consumo dellâagnello, che assume invece un significato simbolico e teologico diverso. Pur venendo integrato nei rituali pasquali in modo più attenuato e con tratti persino âpaganiâ rispetto allâusanza ebraica, questo passaggio si sarebbe probabilmente consolidato sotto lâimperatore Costantino. La consuetudine ha continuato a vivere fino ai giorni nostri, soprattutto nelle regioni a vocazione pastorale, come il Centro-Sud Italia. Qui la tradizione ha conosciuto anche espressioni originali, come i particolari agnelli dolci delle Marche o di Favara, in provincia di Agrigento. In senso più ampio, consumare carne dâagnello a Pasqua â al pari di quella di maiale a Natale, pur senza la stessa carica teologica â rappresentava una delle rare occasioni in cui si poteva godere di carne pregiata. Un lusso, per molti, riservato solo a quei giorni di festa.