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Cinefilia Ritrovata | Il giornale della passione per il Cinema

“House of Dynamite” che muove lo sguardo del cinema

House of Dynamite è una deflagrazione di adrenalina che non si risolve al termine della visione, perché le ripercussioni scavano in profondità, pervadendo i timori e alterando le coscienze di chiunque si sia rispecchiato nei volti dei personaggi tramortiti dall’incredulità e soffocati dalla paura. Kathryn Bigelow è tornata e con un ennesimo lampo di grande cinema ci ha indicato la provenienza del pericolo, ora sta a noi cogliere il suo segnale, muovere lo sguardo per non soffermarci sul dito e alzarlo verso la luna.

“L’isola di Andrea” tra il reale e il plurale

L’iter giudiziario, che suddivide il film in capitoli corrispondenti alle sue diversi fasi, diventa l’occasione per vivisezionare una famiglia a colpi di domande, interazioni, disegni, associazioni d’idee e giochi con le costruzioni. La macchina da presa di Capuano si muove in continua tensione fra naturalismo e antinaturalismo, con molti long take oscillanti fra lo stile malfermo all’impronta da cinema del reale e stilizzati fraseggi circonvoluti, avvolgendo i personaggi ma anche accerchiandoli all’ammissione delle proprie manchevolezze.

“Le città di pianura” tappa dopo tappa nell’immaginazione provinciale

Le città di pianura è una macchina (in panne) per elaborare le proprie crisi. Un dispositivo che, claudicante, tenta di ripartire, rimbalzando i riflessi delle varie emergenze (di classe, di desiderio, di trasmissione) per alimentare il nostro bisogno di finzione e forgiare, tappa dopo tappa, una nuova immaginazione provinciale. Questa mimesi “jarmuschiana” non solo respinge ogni intimidazione, ma rifugge anche la funerea celebrazione dell’eredità.

“Together” tra paura e desiderio

L’originalità dell’opera, rispetto a un tema tanto introspettivo, risiede nella scelta di adottare gli stilemi del cinema di genere: jumpscare, momenti di tensione e incursioni nel soprannaturale non sono solo espedienti narrativi per giustificare lo sviluppo della trama, ma contribuiscono attivamente a rendere visibile il processo di trasformazione interiore dei personaggi. Una metamorfosi emotiva che, attraverso il simbolismo del film, viene portata all’estremo, fino a farsi grottesca e inquietante.

“Familiar Touch” e il passato che scorre nelle vene della memoria

La regista spinge lo spettatore a un lavoro fondamentalmente riflessivo, di ricerca, di analisi profonda del testo filmico. Nessun effetto speciale, nessuna acrobazia o inseguimento, nessun fantasma. Solo un corpo e la sua memoria. Anche la questione corporea spinge a molteplici ragionamenti. Si pensi al titolo che contiene la parola “touch” che presuppone una componente fortemente fisica (le parole Familiar Touch hanno significati figurati che possono essere accostati a metafore come “consapevolezza” o “dialogo”).

L’aura di Claudia Cardinale

Agli occhi di moltissime persone la figura di Claudia Cardinale incarna il concetto di aura con intensità incomparabile. L’aura, come scrisse Walter Benjamin, si configura come “il manifestarsi di una lontananza, per quanto vicina essa sia”. Effettivamente la presenza scenica di Claudia Cardinale è spesso vista come qualcosa di sublime, inarrivabile. A questa fama ha sicuramente contribuito la sua indimenticabile apparizione in uno dei capolavori di Fellini: 8 ½.

“Special Operation” e la prospettiva sull’invasore

Special Operation racconta l’occupazione della centrale di Chernobyl da parte delle truppe russe durante l’invasione dell’Ucraina, tra febbraio e marzo 2022. La quotidianità dei soldati invasori viene documentata dalle telecamere esterne della centrale, dalle lunghe panoramiche e dagli zoom che registrano con un impressionante dettaglio le attività delle truppe. L’intero lungometraggio si struttura a partire proprio dalla raccolta di queste registrazioni, montate insieme per restituire il racconto di quei giorni di occupazione.

“La famiglia Leroy” senza macigni sul cuore

Nella restituzione complessiva, una nota di merito va sicuramente all’abilità, da parte di Bernard, di conciliare in chiave comica, il dramma all’ironia. La capacità di raccontare la difficoltà della separazione mediante un linguaggio autoironico – che non ha paura di prendersi in giro o che non implode in psicanalisi di coppia – conferisce a La famiglia Leroy quel tocco di leggerezza calviniana, quella qualità di saper planare sulle cose dall’alto, senza macigni sul cuore.

“La voce di Hind Rajab” speciale II – Oltre il velo che ci separa dalla morte

Ci sono film il cui valore non è quantificabile entro i limiti del giudizio artistico. Film che sono documenti, testimonianze o, come nel caso di La  voce di Hind Rajab, un ponte tra la realtà e la finzione, tra la vita e ciò che sta oltre il velo che ci separa dalla morte. E allora, in questo caso, gli esili strumenti della critica cinematografica non bastano più, o peggio, rischiano di sminuire la portata di un messaggio per cui l’arte non può che essere un supporto, un mezzo di propagazione

“La voce di Hind Rajab” speciale I – Come un thriller da camera

L’uso della voce di Hind Rajad diviene fondamentale perché intenso frammento veritiero della tragedia e di quanto sta accadendo ancora in Palestina. Unica opzione giusta, poiché ricreare quei frammenti di voce facendoli recitare a una bambina sarebbe stata soltanto pornografia emozionale. Questo necessario utilizzo, simile a quelle opere che integrano scene girate ex novo con found footage, potrebbe essere definito “sound footage”, ovvero in un film di finzione sono presenti fonti sonore originali.

“Videoheaven” e la videoteca come fenomeno culturale

Senza lasciare spazio ad alcuna ambiguità, l’incipit di Videoheaven di Alex Ross Perry introduce subito il tono e l’approccio usato dal film per trattare il suo oggetto di – in questo caso lo possiamo proprio dire – studio e riflessione. Accompagnato dalla voce di Maya Hawke, il documentario utilizza estratti da centinaia di film e serie televisive per raccontare la storia del videonoleggio negli Stati Uniti e le modalità con cui questa storia si è riflessa nella sua rappresentazione audiovisiva.

“Fuoco cammina con me” speciale II – Il male oltre la metafora

Fuoco cammina con me è lo straziante canto del cigno di Laura Palmer. Un canto fatto di note stridenti e disarticolate, privo di ogni grazia, ridotto all’orrore puro, e per questo irricevibile. Film ripudiato da critica e fan ai tempi della sua uscita, il prequel cinematografico di Twin Peaks si libera dalle costrizioni del tubo catodico per svelare la violenza nascosta nelle immagini, negli espedienti un po’ mélo, nei tempi televisivi che richiedono storie lineari, risposte precise, moventi e colpevoli già pronti da servire al pubblico.

“Fuoco cammina con me” speciale I – Un oscuro scrutare

In Fuoco cammina con me assistiamo a una proliferazione dei temi cari al regista di Missoula in cui il rimosso del tubo catodico torna a infestare il grande schermo, lungo traiettorie schizofreniche che ricreano le allucinazioni di un mondo non troppo lontano, terminato nel giugno del 1991. Non più un cerchio, dunque, né la profanazione di un’opera di culto ancorata alle sperimentazioni seriali degli anni Novanta, ma una rifrazione ricognitiva che cataloga tutto il visibile e tutto ciò che appare come “un sogno dentro un sogno”.

“Match Point” con vittoria di Narciso su Eros

A vent’anni dalla sua uscita, Match Point sembra mettere in scena i legami usa e getta della società liquida descritta da Bauman; l’incapacità di prendersi le proprie responsabilità quando le cose diventano complicate, difficili e conflittuali. Le forti passioni e le emozioni intense vengono così rimpiazzate da un’agiata banalità. Chris può continuare a vivere nel suo castello vetrato senza rimorso o senso di colpa, e per di più graziato dalla fortuna. È così che Narciso ha ucciso Eros in un atto tracotante di superomismo.

“Holofiction” verso un’iconografia dell’Olocausto

Michal Kosakowski, regista polacco-tedesco, riflette proprio su questa iconografia in Holofiction, documentario sperimentale che raccoglie frammenti da oltre quattrocento film e serie televisive sull’Olocausto, usciti tra il 1938 e il 2024. Il film, che ha visto la sua prima mondiale alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2025, è parte di un più ampio progetto multimediale, finalizzato a raccontare la memoria della seconda guerra mondiale attraverso i media e l’arte.

“Una battaglia dopo l’altra” speciale III – Il codice del ritorno

Con Una battaglia dopo l’altra Paul Thomas Anderson esce da quel meraviglioso anacronismo a cui ci aveva abituato (almeno in questi ultimi vent’anni) e ci butta nella mischia contemporanea, intrecciando riferimenti più o meno localizzati nel tempo. Eppure, che sia davvero un film sul presente non ci è dato saperlo (è fin troppo facile esserne certi). Di sicuro, però, più che un film sul passato e sul passare, si offre come un film sul ritorno e sul tornare: sulle battaglie mai del tutto morte, sulle rivolte mai del tutto sepolte.

“Una battaglia dopo l’altra” speciale II – Traiettorie nel caos

Tutti i personaggi che si muovono sullo scomposto scacchiere provano ad abitare e colonizzare il proprio piccolo mondo senza avere la minima consapevolezza dell’universalità, cercano di stare a galla combattendo la propria guerra privata, al di là del bene e del male; una poetica del “circolo chiuso”, ma anche di resistenza tra le maglie di un eterno presente. Film di “nicchie” che oppongono feroci chiusure ad aperture che offrono, più che redenzioni e seconde possibilità, un continuum generazionale

“Una battaglia dopo l’altra” speciale I – Il passaggio rivoluzionario del testimone

Contribuendo a plasmare una filmografia già costellata di ritratti vivi e autentici, tenuti lontano dalla macchietta, Una battaglia dopo l’altra è un’opera grandiosa dai molti significati, profondamente politica e maledettamente umana. Per il suo senso di rottura, in primo luogo. Anderson realizza, rifiutando qualunque compromesso a livello artistico, il suo film d’azione, il suo dramma famigliare, la sua commedia: un coro polifonico il cui grido attraversa deserti e colline che faranno capolino in un finale da antologia. 

“Toni, mio padre” e la tensione del cinema autobiografico

Toni, mio padre ha la capacità di rendere partecipe chi guarda sia della prima storia, decisamente più emotiva e fragile, sia della seconda, epocale, drammatica e violenta. Questo grazie alla dimensione intima e quotidiana che la macchina da presa restituisce nei confronti diretti tra Toni e Anna, il cui bisogno di risposte si scontra con l’incomunicabilità e le barriere tra due generazioni lontane, che non hanno più punti di riferimento condivisi.

“Alpha” e l’ago che marchia sottopelle

È proprio la forte componente mélo della recitazione – come anche della colonna sonora – a rendere credibile e coinvolgente ogni azione, scelta, decisione, presa dai personaggi, nonostante l’indeterminatezza di un racconto che intreccia passato e presente, sogno e realtà e che non intende fornire risposte. La regista francese ci accompagna sottopelle, come l’ago che marchia la carne di Alpha, tra le ferite e le viscere più intime dei suoi personaggi, per scoperchiarne i demoni interiori.

“Suor omicidi” come apoteosi terminale del cinema bis

Un titolo accattivante, una locandina visualmente seducente e un cast di stelle – ormai cadenti – erano, di frequente, le peculiarità identificative di molti prodotti sfornati dal cinema bis italiano per allettare la curiosità dello spettatore. Suor omicidi (1979) di Giulio Berruti rientra pienamente in queste scelte di furbesco marketing cinematografaro nostrano: un titolo che abbina eros e thriller; un eterogeneo cast che accorpa attori famosi – in disuso – e un paio di giovani nomi apparsi recentemente in pellicole di successo; diverse versioni, italiane ed estere.